
INTRODUZIONE
La questione dell’accessibilità nei luoghi di lavoro rappresenta oggi una delle sfide più significative nel panorama giuslavoristico italiano, dove la normativa europea e nazionale si intersecano per garantire una tutela effettiva dei diritti delle persone con disabilità. Il caso che intendo condividere illustra perfettamente come la corretta applicazione degli strumenti giuridici disponibili possa trasformare una situazione di discriminazione in un’opportunità di vera inclusione lavorativa.
IL CASO DI FILIPPO: QUANDO L’ACCESSIBILITÀ DIVENTA UN DIRITTO NEGATO
Un ingegnere informatico di 34 anni, che per privacy chiameremo Filippo, si è rivolto al mio studio legale per una questione che ha messo in luce tutte le criticità legate all’accessibilità nei luoghi di lavoro.
Dipendente da otto anni presso una società di consulenza informatica con 150 dipendenti, Filippo aveva visto la sua vita cambiare radicalmente a seguito di un grave incidente stradale nel marzo 2024, che lo aveva costretto all’uso permanente della sedia a rotelle.
Dopo sei mesi di riabilitazione, Filippo era pronto a riprendere l’attività lavorativa, mantenendo intatte le sue competenze professionali. Il problema è emerso quando ha comunicato all’azienda la sua intenzione di rientrare: il suo ufficio al secondo piano era accessibile solo tramite una scala di quindici gradini, con un ascensore degli anni ’80 dalle dimensioni inadeguate per una sedia a rotelle standard.
La risposta dell’azienda è stata emblematica di un approccio ancora troppo diffuso: di fronte alla richiesta di valutare soluzioni per rendere accessibile il posto di lavoro, la direzione ha addotto vincoli della Soprintendenza per l’edificio storico e costi elevati per le modifiche strutturali. Più grave ancora, ha proposto a Filippo di lavorare esclusivamente da remoto con una riduzione del 30% dello stipendio, giustificata dalla presunta “minore produttività” del lavoro agile.
IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO: OBBLIGHI E TUTELE
La situazione di Filippo si inquadra perfettamente nel sistema di tutele previsto dalla normativa italiana ed europea. L’articolo 5-bis della Legge 104/1992, introdotto dal recente decreto legislativo n. 62/2024, disciplina l’accomodamento ragionevole come strumento per garantire alle persone con disabilità il godimento effettivo dei diritti su base di uguaglianza con gli altri.
Particolarmente rilevante è l’articolo 63 del Decreto Legislativo 81/2008, che stabilisce che i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto dei lavoratori disabili, con specifico riferimento a porte, vie di circolazione, ascensori, scale e postazioni di lavoro. La norma prevede che, ove vincoli urbanistici o architettonici ostacolino tali adempimenti, il datore di lavoro deve adottare misure alternative che garantiscano un livello di sicurezza equivalente.
L’articolo 174 del medesimo decreto impone al datore di lavoro di organizzare e predisporre i posti di lavoro tenendo conto delle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale, mentre l’articolo 2 del Decreto Legislativo 23/2015 prevede la nullità del licenziamento discriminatorio per disabilità fisica o psichica del lavoratore.
L’APPROCCIO METODOLOGICO: ANALISI PRELIMINARE E STRATEGIA
Quando Filippo si è presentato nel mio studio, il primo passo è stato condurre un’analisi approfondita della situazione sotto molteplici profili. L’approccio metodologico che adotto in questi casi si articola in diverse fasi essenziali, ciascuna delle quali richiede competenze specifiche e un’attenzione particolare ai dettagli normativi e giurisprudenziali.
VALUTAZIONE DELLA SUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI NORMATIVI
La prima valutazione ha riguardato l’inquadramento della disabilità di Filippo nell’ambito della normativa di riferimento. Come chiarito dalla Cassazione n. 10568/2024, la nozione di handicap ai sensi della direttiva 2000/78/CE include qualsiasi condizione patologica che comporti una limitazione duratura risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche che possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Nel caso di Filippo, la lesione midollare permanente rientrava chiaramente in questa definizione, configurando una limitazione duratura che richiedeva l’adozione di accomodamenti ragionevoli da parte del datore di lavoro.
ANALISI DELL’OBBLIGO DI ACCOMODAMENTO RAGIONEVOLE
Il secondo aspetto fondamentale è stato l’esame dell’obbligo di accomodamento ragionevole gravante sull’azienda. Come stabilito dalla Cassazione n. 14307/2024, il licenziamento motivato dalla sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, se intimato in violazione dell’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli, realizza una discriminazione diretta ed è pertanto nullo.
Ho quindi proceduto a catalogare tutte le possibili soluzioni che l’azienda avrebbe potuto adottare:
- Adeguamento dell’ascensore esistente per consentire l’accesso alla sedia a rotelle
- Riorganizzazione degli spazi al piano terra per creare una postazione accessibile
- Implementazione di modalità di lavoro agile strutturate e non penalizzanti
- Adattamento ergonomico della postazione di lavoro
- Modifica degli orari per facilitare l’accesso ai servizi comuni
VALUTAZIONE DELLA PROPORZIONALITÀ DEGLI ONERI
Un elemento cruciale dell’analisi è stata la valutazione della proporzionalità degli oneri richiesti all’azienda. La Corte d’Appello ha chiarito che la valutazione della ragionevolezza degli accomodamenti deve considerare i costi finanziari, le dimensioni aziendali e la possibilità di ottenere finanziamenti pubblici.
Nel caso specifico, ho condotto un’analisi economica dettagliata che ha evidenziato:
- Costo dell’adeguamento dell’ascensore: circa 15.000 euro
- Costo dell’adattamento della postazione: circa 3.000 euro
- Fatturato annuo dell’azienda: oltre 5 milioni di euro
- Disponibilità di incentivi pubblici per l’abbattimento delle barriere architettoniche
Questa sproporzione tra i costi degli interventi e le capacità economiche dell’azienda costituiva un elemento decisivo per dimostrare la ragionevolezza degli accomodamenti richiesti.
LA STRATEGIA PROCESSUALE: DALLA DIFFIDA ALL’AZIONE GIUDIZIARIA
LA DIFFIDA STRAGIUDIZIALE: STRUMENTO DI PRESSIONE E DOCUMENTAZIONE
La strategia adottata si è basata inizialmente su una diffida stragiudiziale articolata, che ha svolto una duplice funzione: da un lato, ha rappresentato un tentativo di risoluzione bonaria della controversia; dall’altro, ha costituito un elemento probatorio fondamentale per dimostrare la mala fede dell’azienda in caso di persistente rifiuto.
La diffida è stata strutturata in modo da evidenziare:
- La precisa identificazione degli obblighi normativi violati
- L’elencazione dettagliata degli accomodamenti ragionevoli richiesti
- La dimostrazione della proporzionalità degli oneri
- L’indicazione delle conseguenze legali del mancato adempimento
- La fissazione di un termine congruo per l’adempimento
L’AZIONE GIUDIZIARIA: LA SCELTA DEL RITO E LA STRATEGIA PROBATORIA
Di fronte al rifiuto dell’azienda, ho proceduto con l’azione giudiziaria utilizzando il rito semplificato di cognizione previsto dall’articolo 28 del Decreto Legislativo 150/2011 per le controversie in materia di discriminazione.
La strategia probatoria si è fondata sul regime speciale dell’onere della prova previsto dalla normativa antidiscriminatoria. Come chiarito dalla Cassazione n. 605/2025, il lavoratore deve allegare il fattore di rischio e il trattamento sfavorevole rispetto ad altri soggetti in condizioni analoghe, mentre spetta al datore di lavoro provare l’impossibilità di adottare accomodamenti ragionevoli.
LA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA: COSTRUIRE UN CASO INATTACCABILE
Ho curato personalmente la raccolta di una documentazione probatoria esaustiva:
Documentazione medica e certificativa:
- Certificazioni mediche sulla natura permanente della disabilità
- Relazioni specialistiche sulle capacità lavorative residue
- Documentazione INAIL relativa all’infortunio
Documentazione tecnica:
- Perizie tecniche sull’accessibilità dell’edificio
- Preventivi dettagliati per gli interventi di adeguamento
- Relazioni di architetti specializzati in abbattimento barriere architettoniche
Documentazione aziendale:
- Bilanci aziendali per dimostrare la capacità economica
- Organigrammi e planimetrie degli uffici
- Corrispondenza intercorsa con l’azienda
- Documentazione sui benefici fiscali già ottenuti per l’assunzione di personale disabile
Documentazione comparativa:
- Esempi di soluzioni adottate da aziende similari
- Casi di best practice nel settore
- Analisi dei costi-benefici degli interventi
LA GIURISPRUDENZA CONSOLIDATA: ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI COME OBBLIGO INDEROGABILE
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito in modo inequivocabile gli obblighi del datore di lavoro. La Cassazione n. 15282/2024 ha stabilito che il datore di lavoro ha l’onere di acquisire informazioni circa l’eventuale connessione delle limitazioni con lo stato di disabilità e di valutare l’adozione di accomodamenti ragionevoli prima di procedere con qualsiasi forma di recesso.
Particolarmente significativa è la Cassazione n. 34646/2024, che ha chiarito come l’onere di allegazione e prova dell’impossibilità di ricollocazione gravi interamente sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare non solo l’assenza di posizioni lavorative disponibili compatibili con lo stato di salute del dipendente, ma anche l’impraticabilità di accomodamenti ragionevoli ovvero la loro irragionevolezza o sproporzione finanziaria.
L’EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE: DALLA TUTELA FORMALE ALLA TUTELA SOSTANZIALE
L’orientamento giurisprudenziale ha subito un’evoluzione significativa negli ultimi anni, passando da una concezione meramente formale della tutela antidiscriminatoria a una visione sostanziale che impone obblighi positivi al datore di lavoro. La Cassazione n. 14402/2024 ha chiarito che la discriminazione indiretta si configura quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri producono effetti sfavorevoli nei confronti dei lavoratori portatori di handicap, senza che rilevi l’intento discriminatorio.
Questo principio è stato fondamentale nel caso di Marco, dove la proposta aziendale di lavoro da remoto con riduzione salariale, pur apparentemente neutra, configurava una discriminazione indiretta in quanto penalizzava il lavoratore disabile rispetto ai colleghi normodotati.
L’ATTIVITÀ NEGOZIALE: IL RUOLO DELL’AVVOCATO COME MEDIATORE QUALIFICATO
LA GESTIONE DELLA TRATTATIVA: EQUILIBRIO TRA FERMEZZA E PRAGMATISMO
Durante tutto il processo, ho mantenuto aperto un canale di dialogo con l’azienda, consapevole che la soluzione negoziale rappresenta spesso l’esito più vantaggioso per entrambe le parti.
La gestione della trattativa ha richiesto un delicato equilibrio tra fermezza sui principi giuridici e pragmatismo nelle soluzioni concrete.
Ho organizzato diversi incontri con la direzione aziendale, durante i quali ho illustrato non solo gli aspetti legali della questione, ma anche i vantaggi economici e reputazionali derivanti dall’adozione di politiche inclusive. Ho evidenziato come gli investimenti in accessibilità potessero configurarsi non come costi, ma come investimenti in grado di migliorare l’ambiente di lavoro per tutti i dipendenti e di rafforzare l’immagine aziendale.
LA PROPOSTA DI SOLUZIONE INTEGRATA
La proposta finale che ho formulato prevedeva una soluzione integrata che contemperava le esigenze di Filippo con quelle organizzative dell’azienda:
- ADEGUAMENTO STRUTTURALE GRADUALE: Implementazione degli interventi di accessibilità in due fasi, con priorità all’ascensore e successivo adattamento della postazione di lavoro.
- MODALITÀ DI LAVORO FLESSIBILI: Introduzione di un regime di lavoro agile strutturato, non penalizzante dal punto di vista economico, che consentisse a Marco di alternare presenza e remote working secondo le sue esigenze.
- FORMAZIONE DEL PERSONALE: Implementazione di un programma di sensibilizzazione per tutto il personale aziendale sui temi dell’inclusione e dell’accessibilità.
- MONITORAGGIO E VALUTAZIONE: Istituzione di un sistema di monitoraggio periodico per verificare l’efficacia delle soluzioni adottate e apportare eventuali miglioramenti.
LA RISOLUZIONE POSITIVA: UN MODELLO DI INCLUSIONE
Il caso si è risolto positivamente nel gennaio 2025, quando l’azienda, di fronte alla solidità della nostra argomentazione giuridica e al rischio concreto di una condanna esemplare, ha accettato di adottare tutte le misure di accomodamento richieste.
GLI ELEMENTI DECISIVI PER IL SUCCESSO
Diversi fattori hanno contribuito al successo della strategia adottata:
La solidità dell’impianto giuridico: la costruzione di un’argomentazione basata su una giurisprudenza consolidata e su una normativa chiara ha reso inattaccabile la nostra posizione legale.
La documentazione probatoria: la raccolta di una documentazione esaustiva e tecnicamente ineccepibile ha dimostrato la concreta fattibilità degli accomodamenti richiesti.
L’approccio collaborativo: la disponibilità al dialogo e alla ricerca di soluzioni condivise ha facilitato il raggiungimento di un accordo vantaggioso per entrambe le parti.
La pressione reputazionale: la prospettiva di un processo pubblico su temi di discriminazione ha indotto l’azienda a privilegiare una soluzione negoziale.
I RISULTATI OTTENUTI
Filippo è potuto rientrare al lavoro con:
- Una postazione completamente accessibile al piano terra
- Un ascensore adeguato per consentire l’accesso a tutti i piani
- La possibilità di alternare presenza e smart working secondo le sue esigenze
- Il mantenimento invariato del trattamento economico
- Un ambiente di lavoro più inclusivo per tutti i dipendenti
LE IMPLICAZIONI PIÙ AMPIE: VERSO UNA CULTURA DELL’INCLUSIONE
L’IMPATTO SISTEMICO DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Il caso di Filippo rappresenta un esempio di come la tutela giurisdizionale possa produrre effetti che vanno oltre la singola controversia, contribuendo alla costruzione di una cultura aziendale più inclusiva. L’azienda ha infatti successivamente adottato una policy aziendale sull’inclusione e ha investito in formazione specifica per i propri manager.
Come evidenziato dalla Cassazione n. 8917/2023, il datore di lavoro è tenuto ad adottare accomodamenti ragionevoli anche mediante modifiche organizzative, per salvaguardare il posto del disabile in un’attività utile all’azienda, purché l’onere richiesto non ecceda una tollerabilità socialmente accettabile.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE: VERSO UNA SOCIETÀ PIÙ INCLUSIVA
La vicenda di Filippo rappresenta un esempio emblematico di come la normativa italiana ed europea in materia di accomodamenti ragionevoli, quando correttamente applicata, possa garantire l’effettiva inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
Come chiarito dalla recente sentenza del Tribunale di Trieste n. 259/2025, il datore di lavoro è tenuto ad adottare accomodamenti ragionevoli che si traducano in misure concrete e specifiche, come l’adattamento della postazione di lavoro e la predisposizione di strumenti compatibili con la disabilità.