Abstract
Il presente articolo vuole approfondire il concetto di imputabilità con riferimento all’infermità mentale, ed esaminare come le neuroscienze e la psichiatria entrino a far parte del processo penale in sede di accertamento dell’imputabilità di un soggetto.
Qual è il discrimen tra capacità di intendere e di volere e imputabilità?
L’articolo si sofferma sul concetto di infermità mentale dal punto di vista giuridico e medico-psichiatrico e su quando tale condizione incida sulla capacità di intendere e di volere.
Il reato è un fatto antigiuridico cui viene ricollegata una sanzione penale. È composto:
- dall’elemento oggettivo, a sua volta formato da tre elementi: condotta, evento e nesso di causalità;
- dall’elemento soggettivo, ossia la colpevolezza (dolo o colpa): il presupposto della colpevolezza è l’imputabilità.
Con il termine “imputabilità” si intende l’attribuzione di responsabilità di un fatto costituente reato al suo autore. Ai sensi dell’art. 85 c.p. “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, nel momento in cui l’ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
Per essere considerata imputabile, una persona deve essere in grado di comprendere il significato e le conseguenze delle proprie azioni (capacità di intendere) e di agire in conformità con questa comprensione, controllando i propri stimoli e impulsi ad agire (capacità di volere). Tali capacità si presumono esistenti dal compimento del diciottesimo anno di età del soggetto.
Ciò non esclude che anche i minori di anni diciotto che abbiano compiuto quattordici anni possano essere imputabili. Per far si che l’imputabilità venga meno, il Giudice dovrà verificare che essi, al momento di commissione del fatto, non avevano sufficiente capacità di intendere e di volere. Tale valutazione deve essere compiuta in concreto e in stretta correlazione con il fatto commesso. (1)
Vi sono tuttavia dei casi in cui la capacità di intendere e di volere viene meno, ad esempio, nell’infermità mentale (stato patologico che incide sulla capacità di intendere e di volere). L’infermità può essere di diversi tipi, di natura psichica o di natura fisica, totale o parziale, purché provochi un vizio di mente.
FOCUS : alcolismo
Anche l’alcolismo e l’intossicazione da stupefacenti possono incidere sull’esclusione o meno dell’imputabilità.
L’ubriachezza o l’intossicazione da stupefacenti escludono l’imputabilità solo se sono accidentali, cioè se derivano da caso fortuito o forza maggiore. Vi sono poi i casi di ubriachezza (o intossicazione) volontaria o colposa, preordinata o abituale, che non fanno venir meno l’imputabilità e in alcuni casi possono comportare addirittura un aumento della pena. (2)
In particolare, va distinta l’intossicazione da alcool abituale da quella cronica, la quale è in grado di provocare alterazioni patologiche permanenti, a causa dell’impossibilità di guarire dalla stessa, giustificando così il venir meno della capacità di intendere e di volere. Risulta comunque difficile distinguerle, tant’è che è stato introdotto un criterio per cui l’intossicazione cronica è riconoscibile perché essa provoca una dipendenza sia fisica, sia psichica. Invece, per quanto riguarda l’intossicazione cronica da sostanze stupefacenti, questa viene ricollegata al concetto di dipendenza psico-fisica, che porta dalle cd. crisi di astinenza.
Ai sensi dell’art. 88 c.p. “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere”. Tale articolo fa riferimento al vizio totale di mente; l’art. 89 c.p. prevede anche il vizio parziale, in cui l’infermità è “tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere”. Tra i due vizi intercorre una differenza quantitativa relativa all’intensità della lesione cagionata dall’infermità.
Per poter approfondire la tematica dell’infermità, e quindi del vizio di mente, è necessario introdurre un approccio tecnico in ambito neuroscientifico.
In particolare, la psichiatria forense è: “Il settore disciplinare che studia i risvolti medico-legali della psichiatria e le problematiche forensi che spesso si affrontano in campo penale e civile con soggetti affetti da patologia psichica. Si tratta di una scienza ausiliare della criminologia che spazia dalla giurisprudenza alla salute mentale, che fornisce un giudizio diagnostico-valutativo e prognostico. Tale giudizio serve a stabilire le condizioni mentali di un soggetto in riferimento a un particolare reato e ad un preciso momento del corso giudiziario”. (3)
Tuttavia, tra diritto e scienza vi è un rapporto particolare, dovuto a incomprensioni e difficoltà di dialogo.
Inoltre la pluralità di “scuole” e di indirizzi in ambito psichiatrico, a cui corrisponde una valutazione differente circa il ruolo che la patologia mentale può avere sulla capacità di un soggetto di comprenderne il significato e la portata, lascia il giudice in una posizione di iniziale “disorientamento” (4); egli infatti, nella sua veste di “fruitore” del sapere scientifico, si trova spesso in difficoltà, nell’ipotesi di contrasto tra le conclusioni di diversi esperti in psichiatria, nel dover scegliere tra vari orientamenti scientifici senza possedere gli strumenti cognitivi per effettuare tale opzione.(5)
Dal punto di vista strettamente operativo, il giudice in ogni caso deve evitare di affidare al perito dei compiti valutativi, che invece sono affidati dal legislatore all’autorità giudiziaria; inoltre non dovrà richiedere un accertamento volto a verificare l’eventuale sussistenza di una “malattia mentale” in senso stretto, ma potrà invece domandare se sia individuabile un’anomalia psichica idonea ad escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, essendo consapevole del fatto che tale anomalia potrebbe non risultare riconducibile ad una precisa base organica e rientrare invece nell’ambito dei disturbi gravi della personalità.
Al fine di differenziare i rispettivi ruoli, è stato osservato che l’esperto deve limitarsi a rilevare le condizioni biologiche e fisiologiche dell’individuo; invece, il giudice, sulla base di un autonomo procedimento valutativo, dovrà trarne le conseguenze sotto il profilo più specifico della capacità di colpevolezza.
FOCUS : neuroimaging
Grazie allo sviluppo delle tecniche di neuroimaging strutturale, recentemente le perizie in tema di imputabilità possono avvalersi di nuovi strumenti, in grado di mostrare l’eventuale alterazione della struttura anatomica cerebrale. Ad esempio, il metodo Voxel-Based Morphometry (VBM) permette un confronto voxel-by-voxel (punto per punto) della microstruttura cerebrale, mediante le immagini ottenute con la risonanza magnetica.
Tuttavia, le tecniche di neuroimaging determinano, in ambito processuale, alcune conseguenze distorsive.
È stato osservato, ad esempio, che le immagini fornite dalla PET, e cioè dalla tomografia ad emissione di positroni, sono dinamiche, e risultano spesso difficili da decifrare anche per un esperto; i giudici e le parti rischiano dunque di giungere a delle conclusioni errate, non riuscendo a comprendere che dette immagini non sono delle fotografie che mostrano la presenza di determinate devianze, bensì delle rappresentazioni stilizzate di correlazioni.
Perciò, a causa anche delle incertezze mostrate dalla scienza psichiatrica a fornire una definizione comunemente accolta di infermità mentale, la relativa nozione in ambito giuridico non ha ricevuto un’interpretazione unitaria da parte della dottrina e della giurisprudenza.
Il panorama giurisprudenziale
Il riferimento ai concetti di imputabilità ed infermità mentale nel contesto giuridico porta ad una serie di incompatibilità a cui spesso è difficile rispondere.
La giurisprudenza per moltissimi anni ha ritenuto che l’infermità mentale, diretta ad escludere o ridurre l’imputabilità, dovesse sempre dipendere da una causa patologica, e fosse necessariamente ricollegata alle alterazioni anatomo-funzionali della sfera psichica, clinicamente accertabili, o alle psicosi acute o croniche, dovendo invece essere esclusa in presenza delle cosiddette abnormità psichiche, e pertanto non solo delle varie alterazioni comportamentali ma anche dei disturbi della personalità, tra cui le psicopatie, quali le neuropsicosi o psiconevrosi, qualificate come mere “caratteropatie”, cioè anomalie del carattere inidonee ad influire sull’imputabilità, in quanto non indicative di uno stato morboso fondato su un substrato organico e basi anatomiche, e dunque non corrispondenti al quadro clinico di una malattia. (6)
Negli ultimi anni si è affermata un’impostazione differente, volta ad evidenziare come la malattia mentale possa trarre le sue origini da una pluralità di cause, non necessariamente di origine organica; a questa evoluzione nel settore della psichiatria è corrisposto un analogo mutamento di indirizzo in ambito giurisprudenziale. (7)
Assai rilevante è la sentenza Raso delle Sezioni unite in merito all’elaborazione giurisprudenziale in tema di imputabilità.
La Cassazione ha affermato che il concetto di infermità mentale è più ampio di quello di malattia mentale.
Le Sezioni unite hanno fatto ricomprendere anche i disturbi della personalità nel concetto di infermità “purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”. (8)
Quindi anche questi disturbi, nonostante non rientrino, dal punto di vista medico, nell’ambito delle malattie mentali, possono costituire delle infermità, rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., qualora siano tali da pregiudicare, totalmente o grandemente, le capacità intellettive e volitive.
FOCUS : stati emotivi e passionali
Anche “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”, ai sensi dell’art. 90 c.p., per esempio “la gelosia quale stato passionale, in soggetti normali, si manifesta come idea generica portatrice di inquietudine, non diminuisce e tanto meno esclude la capacità di intendere e di volere del soggetto, salvo che essa derivi da un vero e proprio squilibrio psichico il quale deve presupporre uno stato delirante tale da incidere sui processi di determinazione e di auto-inibizione.” (9)
Esempi
La giurisprudenza successiva si è sempre mostrata aderente a tali indicazioni. A conferma di queste affermazioni possono essere analizzate alcune tematiche, di estrema rilevanza, ad esempio:
- “Ludopatia” (o gioco d’azzardo patologico): si intende l’incapacità di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse; essa viene definita, dal punto di vista psichiatrico, come “disturbo del controllo degli impulsi” o come “disturbo borderline della personalità”.
A seguito delle indicazioni delle Sezioni unite, diverse pronunce hanno negato che la mancata “base organica” della ludopatia e la difficoltà di un suo inquadramento nosografico siano ostative alla riconduzione entro i parametri del vizio parziale di mente (10).
- “Cleptomania”: definita come incapacità di resistere all’impulso di rubare.
La giurisprudenza ha osservato che l’assenza della capacità di volere potrebbe dirsi compromessa solo qualora gli “impulsi all’azione” fossero «di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze», assumendo quindi un carattere “cogente”.
La cleptomania non è una malattia mentale, ma un disturbo del comportamento che incide sull’imputabilità solo nel caso in cui si riesca a dimostrare che il reato è stato posto in essere per un impulso improvviso e non controllabile (11).
- “Epilessia”: non deve essere considerata una patologia tale da causare una permanente deficienza psichica giacché in periodi extra-accessuali il soggetto ha piena capacità di intendere e di volere e conserva lucidità e completa consapevolezza delle proprie azioni (12). L’epilessia non costituisce di per sé una malattia che comporti uno stato permanente di infermità mentale nel soggetto; la incapacità di intendere o volere è invece ravvisabile nel momento del raptus, vale a dire allorché il malato è colto da una crisi epilettica che, provocando movimenti e spasmi incontrollabili possa determinare movimenti degli arti e del corpo dei quali il malato, in quel momento, non può rendersi conto (13).
In conclusione, sicuramente nel tempo il concetto di infermità mentale si è evoluto, sia dal punto di vista giuridico, sia medico. Lo sviluppo delle neuroscienze e l’intervento dei periti psichiatri sono utili ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere di un soggetto, fermo restando che, comunque, sarà compito del giudice valutare volta per volta ogni singolo caso concreto e stabilire se il vizio è causa del moto, cioè se il comportamento lesivo messo in atto dal soggetto sia causato dalla sua infermità o meno
Anna Crosta
Note:
1Art. 97 Codice Penale: Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni [222, 224].
Art. 98 Codice Penale: È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita [169, 224 4, 223-227]
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
2Art. 94 Codice Penale: Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza. L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze.
Art. 95 Codice Penale: Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89 [206, 219, 222].
3U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, UTET Giuridica, 2005 p.
4Cfr. in tal senso M. Bertolino, L’infermità mentale al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 863.
5G. Fidelbo, Le Sezioni unite riconoscono rilevanza ai disturbi della personalità, in questa rivista, 2005, p. 1874. Sul punto v. inoltre M. Bertolino, Il nuovo volto dell’imputabilità mentale. Dal modello positivistico del controllo sociale a quello funzionale-garantista, in Ind. pen., 1998, p. 376 ss.
6V. in tal senso, per tutte, Sez. I, 25 marzo 2004, Egger, in C.E.D. Cass., n. 227926; Sez. VI, 7 aprile 2003, Spagnoli, ivi, n. 225560; Sez. III, 25 marzo 2003, Simone, ivi, n. 225231; Sez. V, 16 luglio 1981, in Giust. pen., 1982, II, c. 333 ss.
7Per un’approfondita disamina al riguardo si rinvia a D. Dawan, I nuovi confini dell’imputabilità nel processo penale, Giuffrè, 2006.
8Cassazione penale sez. un., 25/01/2005, n.9163.
9Cass. pen. n. 37020/2006.
10V. in tal senso, per tutte, Sez. II, 22 maggio 2012, n. 24535, in questa rivista, 2013, p. 2337 s.
11Cassazione penale sez. IV, 11/01/2023, n.2657.
12Cassazione penalesez. I 19889/92.
13Cassazione penale sez. IV 3031/93.
Bibliografia
- R. Garofoli, Compendio di diritto penale, parte generale, Neldiritto Editore, 2014-2015, pag. 317-386
- G. Forti, S. Seminara, Commentario breve al codice penale. Complemento giurisprudenziale. Edizione per prove concorsuali ed esami, 2021, CEDAM, 2021, pag. 85-99
- G. Cocco, E. M. Ambrosetti, Trattato breve di diritto penale, parte generale 1, 2, Il reato, II edizione, Wolters Kluwer, CEDAM
- P. Rivello, L’IMPUTABILITÀ E L’INFERMITÀ MENTALE NEL CONTESTO DEL DIRITTO VIVENTE Imputability and Mental Illness in Living Law, Fonte: Cassazione Penale, fasc.1, 1 GENNAIO 2018, pag. 0422B