Come noto, in via generale, nell’ambito della disciplina giuslavorista, si è soliti distinguere tra (i) licenziamento per giusta causa, relativo a fatti che impediscano la prosecuzione del rapporto di lavoro, (ii) licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ovverosia afferente a circostanze che si risolvano in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, e, infine, (iii) licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In particolare, il cd. licenziamento per giustificato motivo oggettivo è previsto dall’art. 3 della l. n. 604/1966, secondo cui lo stesso è determinato, ai fini che qui interessano, da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale tradizionale, doveva considerarsi illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora non fosse giustificato da un grave stato di crisi aziendale che avesse determinato la stringente necessità economica, per l’imprenditore, di ridurre i costi, e ciò al fine di far fronte a situazioni sfavorevoli non meramente contingenti, ed incidenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva.
La soppressione della posizione lavorativa veniva quindi considerata quale extrema ratio cui poteva ricorrere il datore di lavoro in tutte le ipotesi in cui, sostanzialmente, non potesse provvedere altrimenti.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, pertanto, non poteva essere motivato, seppure in presenza di un’effettiva riorganizzazione aziendale, dalla volontà di addivenire ad una più economica gestione aziendale mediante il contenimento dei costi, ovvero, da una generale finalità di mero risparmio; altrimenti, infatti, secondo il citato orientamento di legittimità, il licenziamento sarebbe stato determinato soltanto da un motivo personale del datore.
Tale prospettiva “tradizionale” è stata superata da alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione.
In particolare, con la pronuncia n. 25201/2016, il Giudice di legittimità evidenziava che “impedire” al datore di lavoro di licenziare, legittimamente, un dipendente, al fine di addivenire ad un risparmio di costi o all’incremento di profitti, significherebbe affermare un principio contrastante con la libertà di iniziativa economica privata prevista dal primo comma dell’art. 41 della Costituzione.
Infatti, affermare che l’organizzazione aziendale, una volta delineata, non sia successivamente modificabile se non in presenza di un andamento negativo, significa limitare la libertà di iniziativa economica privata dell’imprenditore, e nello specifico, la scelta della miglior combinazione dei fattori produttivi.
In secondo luogo, secondo la Cassazione, l’interpretazione letterale del citato art. 3 della l. n. 604/1966, nella parte in cui dispone che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” induce a ritenere come la norma non preveda il presupposto fattuale della sussistenza di situazioni sfavorevoli o di crisi aziendale, né che tali circostanze debbano essere provate dal datore di lavoro.
Precisa, la Corte, che, nella Costituzione non è nemmeno rinvenibile alcun diritto del lavoratore all’assunzione né al mantenimento del posto di lavoro, e che i temperamenti al potere di recesso del datore di lavoro, posti a garanzia dei lavoratori, sono affidati alla discrezionalità del legislatore.
Infatti, il terzo comma dell’art. 41 della Costituzione prevede soltanto che sia compito del legislatore determinare i programmi ed i controlli opportuni affinché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Fermo il limite di cui al secondo comma dell’art. 41 della Costituzione, secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, né in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana, se spetta lecitamente all’imprenditore stabilire la dimensione occupazionale nella fase iniziale dell’impresa, al fine di perseguire il profitto, parimenti libera dev’essere tale scelta durante la vita della medesima.
Infine, la Corte precisa che, esigere la sussistenza di una situazione economica sfavorevole per rendere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, significherebbe presupporre il sindacato, da parte del Giudice di merito, della congruità e dell’opportunità della scelta dell’imprenditore sottesa al licenziamento stesso.
Il Giudice di merito, viceversa, deve soltanto verificare:
- l’effettività e la non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del licenziamento intimato;
- il nesso causale tra l’accertata ragione – inerente all’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, come dichiarata dall’imprenditore – e l’intimato licenziamento, in termini di riferibilità e coerenza rispetto alla ristrutturazione operata.
Concludendo, con dichiarato intento nomofilattico la Corte di Cassazione statuiva il seguente principio di diritto: “”Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”.
I principi sopra espressi sono stati da ultimo confermati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19302/2019, che statuisce il definitivo superamento del precedente orientamento di legittimità secondo cui le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa, che giustificano il licenziamento ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966, devono individuarsi nella necessità di far fronte a situazioni sfavorevoli o a spese straordinarie.
Inoltre, precisa la medesima pronuncia, che il controllo giudiziale della sussistenza del giustificato motivo si sostanzia (soltanto) nella verifica dell’effettiva della ragione obiettiva dichiarata dall’imprenditore nonché dal nesso causale tra la ragione accertata e la soppressione della posizione lavorativa, ovvero la riferibilità e la coerenza del recesso rispetto alla riorganizzazione.
La richiamata sentenza n. 25201/2016, come evidenziato, ha avuto un effetto dirompente sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità circa i presupposti del cd. motivo oggettivo di licenziamento, e, in particolare, circa la corretta interpretazione da attribuire all’ art. 3 della l. n. 604/1966.
Ciononostante, si segnala come alcune pronunce di merito continuino a considerare il licenziamento “economico” quale extrema ratio cui il datore di lavoro può ricorrere soltanto per far fronte a situazioni influenti in modo decisivo sulla normale attività dell’impresa o al fine di rimediare ad uno stato non per forza di crisi, ma, quantomeno, di difficoltà dell’impresa; viceversa, infatti, sarebbe ingiustificatamente sacrificato l’interesse del lavoratore alla sua “stabilità lavorativa”.
Tutto ciò premesso, la questioni sottese alla presente trattazione sottolineano come il licenziamento di un dipendente per giustificato motivo oggettivo involga complesse valutazioni da parte dell’imprenditore.
E ciò, sia con riguardo alle ragioni sottese che al licenziamento, che con riferimento al nesso causale tra tali ragioni ed il licenziamento.
Inoltre, nonostante la Corte di Cassazione abbia ripetutamente dichiarato a chiare lettere come l’orientamento tradizionale debba considerarsi definitivamente superato, i Tribunali hanno mostrato alcune resistenze ad adeguarsi ai principi espressi dal Giudice di legittimità.
Pertanto, all’imprenditore che intenda procedere al licenziamento di un dipendente per giustificato motivo oggettivo, si consiglia vivamente di avvalersi dell’assistenza e della consulenza di un avvocato esperto nella materia giuslavoristica.