
In via generale, il contratto di fideiussione di cui agli artt. 1936 ss. cc. deve considerarsi causalmente autonomo rispetto all’obbligazione assunta dal debitore principale, nonostante l’identità dell’oggetto, in quanto “si modella sul contenuto di quest’obbligo, alle cui determinazioni, modificazioni e vicende è strettamente connessa”[1].
In particolare, il principio di accessorietà della garanzia fideiussoria rispetto all’obbligazione principale trova la propria fonte nelle disposizioni di cui agli artt. 1939, 1945, 1941,1942 e 1957 c.c..
Tali norme prevedono, rispettivamente, la possibilità per il garante (i) di opporre al creditore le eccezioni fondate sulla validità e/o sull’efficacia del rapporto principale[2], (ii) di opporre al creditore tutte le eccezioni spettanti al debitore, che (iii) la fideiussione non possa eccedere la misura del debito altrui né possa essere prestata a condizioni più onerose, estendendosi soltanto a tutti gli accessori del debito principale ed alle spese, e che, infine, (v) il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale soltanto se il creditore entro sei mesi abbia proposto, e continuato, con diligenza, le proprie istanze contro il debitore.
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Ciò premesso, la cd. fideiussione omnibus, viceversa, costituisce un’ipotesi di contratto atipico riconducibile al genus delle garanzie fideiussorie, in forza del quale il fideiussore garantisce tutte le obbligazioni, anche future, derivanti dalle operazioni bancarie concluse dal debitore principale[3].
La clausola omnibus è stata introdotta dall’A.B.I.[4] nei testi contrattuali standard nel febbraio 1995 e la sua struttura negoziale è rimasta invariata anche a seguito delle condizioni successivamente elaborate nel 2003, occasione in cui l’Associazione ha predisposto uno schema negoziale uniforme di fideiussione omnibus contenente numerose deroghe rispetto alla disciplina di cui agli artt. 1936 ss.
Nello specifico, si era da subito sviluppato un vivace dibattito relativamente all’oggetto di alcune clausole contenute nel modello A.B.I. del 2002 e, segnatamente, riguardo:
- l’art. 6, cd. “rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.”, in forza del quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”;
- l’art. 2, cd. “clausola di reviviscenza della fideiussione”, che prevede che il fideiussore sia tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”;
- l’art. 8, cd. “clausola di sopravvivenza della fideiussione”, che stabilisce che qualora “le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
Con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 interveniva la Banca d’Italia, quale autorità indipendente[5], per verificare che l’inserimento nello schema standard predisposto dall’A.B.I. di pattuizioni “contenenti per il fideiussore oneri diversi da quelli derivanti dalla disciplina ordinaria, non ostacoli la pattuizione di migliori clausole contrattuali, inducendo le banche a uniformarsi a uno standard negoziale che prevede una deteriore disciplina contrattuale per la posizione del garante”.
Sul presupposto che la concorrenza tra gli operatori nel libero mercato ha ad oggetto non soltanto le condizioni economiche praticate, ma anche lo specifico contenuto negoziale predisposto, la stessa stabiliva che “sono da ritenersi in contrasto con le regole della concorrenza gli schemi contrattuali atti a: -fissare condizioni aventi, direttamente o indirettamente, incidenza economica, in particolare quando potenzialmente funzionali a un assetto significativamente non equilibrato degli interessi delle parti contraenti; – precludere o limitare in modo significativo la possibilità per le aziende associate di differenziare, anche sull’insieme degli elementi contrattuali, il prodotto offerto”.
In particolare, la Banca d’Italia rilevava che:
- l’art. 2 impegnava il fideiussore, dopo l’estinzione del debito principale, a tenere indenne la banca dalle vicende successive all’avvenuto adempimento, determinando un sensibile peggioramento della sua posizione nelle ipotesi in cui avesse confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del debitore, trascurando conseguentemente di tutelare le proprie ragioni di regresso; ciò, ad esempio, nel caso di revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore principale, motivata dal suo successivo fallimento;
- l’art. 6 avrebbe potuto determinare l’effetto di esentare gli istituti di credito dal proporre e proseguire le proprie istanze nei confronti del debitore principale, nel rispetto dello stringente termine semestrale previsto dall’art. 1957 c.c., risultando “disincentivata la diligenza della banca” (…) “e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante”, la cui posizione viceversa, potrebbe restare indefinitamente sospesa;
- l’art. 8 estendeva il perimetro della garanzia, nell’ipotesi di invalidità del rapporto principale, anche agli obblighi di restituzione gravanti sul debitore, i quali, secondo Banca d’Italia, dovevano considerarsi strutturalmente distinti rispetto all’obbligazione, di garanzia, dell’adempimento dell’ obbligazione principale; non soltanto “una siffatta previsione non appare connaturata all’essenza del rapporto di garanza”, bensì, inoltre, potrebbe indurre gli istituti di credito a sottovalutare le conseguenze dell’invalidità o dell’inefficacia dell’obbligazione principale, potendo contare in ogni caso sulla possibilità di escutere il garante.
La Banca d’Italia quindi, all’esito dell’istruttoria compiuta, statuiva che le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 delle norme bancarie uniformi non rivestissero altro scopo che “addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”.
Conseguentemente, la stessa accertava che le disposizioni contenute nel modello A.B.I., se applicate in modo uniforme, si ponevano in contrasto con l’art. 2 della l. n. 287/1990, cd. disciplina antitrust, che statuisce la nullità ad ogni effetto delle “intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”.
L’A.B.I. trasmetteva pertanto un nuovo schema contrattuale uniforme in cui aveva recepito le valutazioni espresse da Banca d’Italia, agli istituti di credito associati, che, tuttavia, continuarono a diffondere alla clientela il modello previgente.
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Tutto ciò considerato, la giurisprudenza di legittimità si è recentemente pronunciata in più occasioni[6] sulla validità delle fideiussioni omnibus redatte secondo lo schema A.B.I., sulla scorta di quanto statuito dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato pro tempore nel provvedimento richiamato.
In particolare, la Cassazione, richiamando la pronuncia a Sezioni Unite n. 2207/2005, premetteva che la disciplina antitrust stabilisce norme a tutela della libertà della concorrenza destinate a tutti i soggetti del mercato aventi interesse alla conservazione del suo carattere competitivo.
Le intese tra i principali player di settore, aventi il fine di alterare il libero gioco della concorrenza, sono vietate, in quanto possono determinare per i consumatori uno specifico e concreto pregiudizio.
L’acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, infatti, concludendo il cd. contratto “a valle” dell’intesa stipulata “a monte”, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, in quanto le condizioni sottoposte non ammettano alternative più favorevoli; peraltro, oggetto di declaratoria di nullità possono essere anche le fideiussioni sottoscritte anteriormente alla conclusione dell’indagine compiuta dall’autorità indipendente[7], poiché l’accertamento compiuto non implica certo che l’intesa vietata non si fosse già consumata in precedenza.
Il giudice di legittimità dà una lettura sostanziale della nozione di intesa, rilevando che la stessa può consistere anche in “comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”” e, comunque, in “qualsiasi condotta di mercato” “purché con la consapevole partecipazione di ameno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici “meramente unilaterali””.
Tali intese sono nulle ai sensi della disciplina antitrust, così come sono nulli i contratti “a valle” che ne costituiscono lo strumento essenziale a realizzarne gli effetti distorsivi della concorrenza, rappresentati, nel caso in oggetto, dalle fideiussioni omnibus contenenti le clausole n. 2, 6, 8 delle condizioni contrattuali uniformi predisposte dall’A.B.I. e censurate dalla Banca d’Italia.
Nonostante la Cassazione abbia omesso di pronunciarsi sul punto, la giurisprudenza di merito[8] ha ripetutamente stabilito che la nullità del contratto sia soltanto parziale, ovvero sono nulle solo le singole clausole censurate dall’autorità indipendente e non l’intero negozio.
La motivazione di tale orientamento può agevolmente essere individuata mediante l’esame complessivo del rapporto intercorso tra le parti.
Anche senza le deroghe alla disciplina codicistica introdotte dalle clausole soprarichiamate, infatti, da un lato, l’interesse dei fideiussori a garantire il debitore permane – in quanto la garanzia consente a quest’ultimo di fare ulteriore ricorso al credito – e, dall’altro, la banca ottiene, in ogni caso, una garanzia ulteriore nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto principale.
[1] Si veda A. Giusti, La fideiussione ed il mandato di credito, in Trattato dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, vol. XVIII, t. 3, Giuffrè, Milano, 1998, p. 35.
[2] Escluse quelle relative all’incapacità del debitore principale.
[3] La cd. fideiussione omnibus si rivela particolarmente funzionale alla tutela del soggetto creditore, afferendo anche ai debiti futuri, permettendo quindi all’istituto di credito di accordare successivamente nuova finanza, in presenza di una garanzia già validamente prestata, e che può essere azionata qualora il debitore principale manifesti una comprovata incapacità di far fronte alle obbligazioni assunte.
[4] Associazione Bancaria Italiana.
[5] La legge 28 dicembre 2005, n. 262 ha successivamente trasferito tale funzione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).
[6] Pronunce nn. 29810/2017, 30818/2018, 13846/2019.
[7] Peraltro, la Cassazione ha espressamente affermato che “le conclusioni assunte dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il mercato, nonché le decisioni del giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni” costituiscono “una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso”.
[8] Trib. Venezia, Sezione specializzata in materia di Impresa, 7/4/2016 est. Dott. Guzzo, Trib. Vicenza 11/07/2018, giudice dott. Giglio, Trib. Venezia, 21/11/2018 giudice dott.ssa Bianchi, Trib. Padova, 29/1/2019, giudice dott. Bertola, Trib. Padova, 10/06/2019, giudice dott.ssa Lolli.