Il presente articolo ha lo scopo di analizzare l’istituto dei danni punitivi, operando un confronto tra gli ordinamenti di common law (Inghilterra e Stati Uniti) e quelli di civil law, con particolare riguardo all’esperienza tedesca, francese e infine quella italiana.
Abstract:
Alla luce dell’esperienza internazionale che ha mostrato varie ipotesi di punitive damages per rimediare alle storpiature del mercato e a condotte ad alto disvalore sociale, si è poi operato un raffronto con le esperienze degli ordinamenti di civil law dove vige la funzione meramente riparatrice del risarcimento del danno. Si è arrivati poi alla conclusione che i danni punitivi in tali ordinamenti non trovano espressa applicazione. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, come in quella francese o tedesca, se da un lato vi è stata una certa apertura verso la delibazione di sentenze straniere irroganti punitive damages, dall’altro questo non può portare alla considerazione che i danni punitivi trovino applicazione. Nell’esperienza del nostro ordinamento esistono singole ipotesi che contemplano una sanzione ulteriore nei confronti dell’autore di un fatto illecito ma non possono essere definite propriamente danni punitivi anche se ci assomigliano.
Riferimenti Normativi
Sulla responsabilità civile
Articolo 2043 c.c. responsabilità extracontrattuale
Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Articolo 2056 c.c valutazione dei danni
Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227.
Il lucro cessante e’ valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
Articolo 1223 c.c. risarcimento del danno
Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere cosi’ la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
ARTICOLO 1225 C.C. prevedibilità del danno
Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione.
Art. 1226 c.c. Valutazione equitativa del danno
Se il danno non puo’ essere provato nel suo preciso ammontare, e’ liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
Esempi di alcuni danni punitivi nell’ordinamento italiano
1.Art. 96 c.p.c. responsabilità aggravata per lite temeraria
1.Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.
2. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
3.In ogni caso, quando pronuncia sulle spese, ai sensi dell’art.91, il giudice, anche d’ufficio, puo’ altresi’ condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata
NUOVO COMMA 4 INTRODOTTO CON LA RIFORMA CARTABIA: Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00”.
3. Art.12 della legge sulla stampa (L. 8 febbraio 1948, n.47) diffamazione a mezzo stampa
«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato».
4. Art. 158 della legge sul diritto di autore (L.22 aprile 1941, n.633)
1. Chi venga leso nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante può agire in giudizio per ottenere, oltre al risarcimento del danno che, a spese dell’autore della violazione, sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione.
2. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto.
3. Sono altresì dovuti i danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 del Codice civile.
5.Art.125 comma 3 codice proprietà intellettuale (d.lgs 30/2005) risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione (c.d retroversione degli utili).
1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del Codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.
2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.
3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento.
Sul riconoscimento in Italia di sentenze straniere che prevedono i danni punitivi
Articolo 64 comma 1 lettera g) L.n.218/1995
1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando:
a) il giudice che l’ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano;
b) l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;
c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge:
d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata;
e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;
f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;
g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico.
Giurisprudenza italiana sui danni punitivi
Massima sentenza n.1183 del 19 gennaio 2007
Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l’attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito mentre rimane estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta. E quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni patrimoniali o morali. Tale risarcibilità è sempre condizionata all’accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non può considerarsi provata in re ipsa. E inoltre esclusa la possibilità di pervenire alla liquidazione dei danni in base alla considerazione dello stato di bisogno del danneggiato o della capacità patrimoniale dell’obbligato
Sentenza Cassazione n.1781/2012
Nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con ca ratteristiche e finalità punitive, ma in relazione al pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.
Rimane estranea al sistema interno l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta.
L’apprezzamento del giudice nazionale sull’eccessività dell’importo liquidato per danni dal giudice straniero e l’attribuzione alla condanna, anche per effetto di tale valutazione di natura e finalità punitiva e sanzionatoria alla stregua dell’istituto dei cosiddetti «punitive damages», si risolvono in un giudizio di fatto, riservato al giudice della delibazione e insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato.
Sentenza SU Corte di Cassazione n.16601 del 5 luglio 2017
Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico.
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L’istituto dei punitive damages nasce in Inghilterra, attorno al 1200 nei casi di omicidio, dove il reo era obbligato a pagare alla famiglia dell’ucciso una certa somma di denaro.
Ma è solo a partire dalla seconda metà del XVIII che si possono riscontrare i primi casi di veri e propri “exemplary damages” (come definiti in ambiente anglosassone) da accordare alla vittima in aggiunta al risarcimento del loss in senso stretto, in presenza di un atto lesivo ritenuto particolarmente riprovevole. I punitive damages si svilupperanno e troveranno poi terreno fertile negli Stati Uniti.
Si tratta di un rimedio in forza del quale un soggetto, condannato ad un risarcimento del danno nei confronti di un altro per aver posto in essere una condotta illecita connotata da malice (assimilabile approssimativamente alla nostra concezione di dolo) o gross negligence (colpa grave), può vedersi condannato a pagare un ulteriore somma eccedente quella necessaria per compensare il danno arrecato.
I punitive damages ruotano dunque attorno a un constante nocciolo duro: un fatto illecito considerato particolarmente allarmante e riprovevole, connotato da un elemento soggettivo della condotta marcatamente antisociale (malice o gross negligence).
Tale istituto non ha solamente una funzione risarcitoria ma anche una funzione punitiva-deterrente, ossia di scoraggiare le collettività a reiterare condotte simili a quella oggetto di condanna, annullando in tal modo il fascino esercitato dalla realizzazione di eventuali profitti mediante il compimento di illeciti, suscettibili di genere storpiature del mercato.
Danni punitivi in Inghilterra
Per quanto riguarda il diritto inglese, dove i punitive damages sono nati, la prima concreta irrogazione in sede processuale viene fatta risalire al 1763 con il case law Wilkes v.Wood. Il caso di specie riguardava un certo signor John Wilkes che pubblicò un manoscritto su un giornale locale il cui oggetto principale era la contestazione del Re. Il Re, di conseguenza, ordinò la perquisizione dell’abitazione di Wilkes al fine di trovare il manoscritto e sequestrarlo. Di fronte a tale azione regia, Wilkes agì in giudizio contestando la violazione del diritto di proprietà privata. La Corte accolse le sue richieste e riconobbe il primo danno punitivo al fine di evitare che condotte simili potessero essere ripetute in futuro. Il precedente fu seguito poi a breve distanza nel case law Hukle v.Money, sempre riguardante la pubblicazione su un giornale.
Tali pronunce si sostanziarono nell’irrogazione di una condanna al risarcimento del danno cagionato e nella ulteriore imposizione, a titolo concretamente sanzionatorio, del pagamento di un surplus giustificato dalla particolare dolosità del comportamento dei convenuti.
Tuttavia, ben presto la dottrina inglese ravvisò la necessità di evitare che una novità giuridica di tale portata potesse comportare il rischio di un’estensione generalizzata di condanne che prevedessero danni punitivi di ammontare eccessivo, contrariamente a quanto invece poi vedremo accadere in territorio americano.
Infatti, una delimitazione dell’ambito di applicabilità di tali punitive damages non si fece attendere: risale infatti al 1964 la decisione della House of Lords che viene considerata il leading case in materia di risarcimento punitivo. Ci si riferisce al caso Rooks v. Barnard, utilizzato dalla Corte Suprema per restringere ulteriormente l’ambito applicativo dei danni punitivi. In quel contesto, la loro utilizzabilità è stata limitata a 3 sole ipotesi:
1) Violazione dei diritti fondamentali di un cittadino da parte della pubblica amministrazione. Dunque un’illecita condotta di un ufficiale governativo che però doveva essere connotata dai caratteri della “oppressive, arbitrary o uncostitutional”.
2) Comportamento riprovevole da parte del danneggiante finalizzato all’ottenimento di un profitto ingiusto, nella consapevolezza che il guadagno che avrebbe ottenuto sarebbe stato nettamente superiore rispetto al risarcimento che avrebbe dovuto corrispondere per l’illecito commesso. Qui l’elemento soggettivo fondamentale per riconoscere simile forma di risarcimento era la “state of mind” del danneggiante, ossia l’intenzione dolosa del soggetto di commettere un illecito.
3) in tutti gli altri casi espressamente previsti dagli statute law;
Dal 1964 in poi, con qualche eccezione, il quadro normativo inglese in materia di danni punitivi è rimasto pressoché́ invariato fino ai giorni nostri: solo nel 2001, infatti, la House of Lords ha dato cenno di un mutamento giurisprudenziale, aprendo alla possibile irrogazione di risarcimenti punitivi anche in ipotesi che esulano da quelle sopra elencate. Con la sentenza sul caso Her Majesty’s Attorney General v. Blake, si è deciso nel senso del riconoscimento di un risarcimento a titolo anche sanzionatorio conseguente ad un breach of contract (violazione del contratto).
I danni punitivi restano comunque oggetto di riflessione: la Law Commission, autorità indipendente britannica presieduta da un giudice della High Court cui è conferito il compito di mantenere efficace l’ordinamento proponendo l’introduzione di nuove leggi o l’abrogazione di quelle ritenute inefficaci oppure obsolete, da tempo con un importante studio ha indicato possibili alternative nell’eventualità del superamento dell’attuale sistema.
Danni punitivi negli Stati Uniti
Nonostante la prima manifestazione dei punitive damages sia avvenuta nel diritto britannico, negli U.S.A. i danni punitivi hanno trovato terreno fertile di sviluppo. La prima sentenza che dà conto dei punitive damages risale al 1784 (case law Genay v. Norris) in cui parte attrice aveva ottenuto exemplary damages dopo che un medico, a seguito di una lite, aveva adulterato la sua bevanda.
Già in questa prima fase della nascita dei punitive damages, nel sistema statunitense si evidenziarono differenze con il modello inglese. Infatti, mentre quest’ultimo ha sempre rifiutato l’idea di allargare gli exemplary damages come strumento di tutela nei casi in cui si fosse verificato un breach of contract o l’adulterio, gli Stati Uniti, al contrario, hanno da sempre tentato di rendere i punitive damages strumento generalizzato a disposizione dei consociati.
Nel case law Day v. Woodworth del 1851, la Corte Suprema ne ha riconosciuto la generale e incondizionata applicazione, con la loro conseguente progressiva espansione.
Inizialmente l’impiego dei punitive damages riguardava casi di diffamazione, di violazione volontaria dell’integrità fisica e della proprietà. Successivamente, essi vennero impiegati anche in altre ipotesi come la responsabilità̀ del produttore per prodotto difettoso, le violazioni degli obblighi contrattuali connessi alla mala fede, nonché la lesione dei diritti civili e le trasgressioni di specifiche norme di legge.
Nell’ordinamento statunitense il maggiore ambito di applicabilità dei danni punitivi è in tema responsabilità extracontrattuale, ma questi vengono conferiti anche per inadempimento contrattuale. In particolare, in cause in cui il convenuto si è comportato in maniera fraudolenta e spesso la parte convenuta è una compagnia assicurativa che ha usato ogni mezzo per non rimborsare l’assicurato, oppure in cause di discriminazione in materia di lavoro.
Di particolare rilievo sono ora i casi di sexual harassment, legati solitamente a responsabilità per violazione dei contratti di impiego perché il datore di lavoro non avrebbe considerato con la dovuta attenzione i reclami di impiegati per sexual harassment. Vi sono casi famosi in cui le giurie hanno condannato i datori di lavoro a cifre esorbitanti. Per esempio, l’ammontare più alto è quello di una Corte Californiana nei confronti dell’ospedale Catholic Healthcare West per l’ammontare di $168 milioni in una causa iniziata da un’impiegata che, a seguito dei suoi reclami per sexual harassment e altro, l’ospedale aveva diffamato, accusato falsamente, e poi licenziato.
Nel territorio statunitense si è enfatizzata dunque la funzione deterrente dei punitive damages, volta ad indurre non soltanto il responsabile, ma chiunque, ad astenersi in futuro da porre in essere comportamenti simili a quello sanzionato e proprio a questo scopo gli importi dei punitive damages stabiliti dalle corti americane possono raggiungere cifre molto elevate.
Tuttavia, proprio questa prospettiva generalizzata ha portato ad applicazioni estreme, in seguito alle quali gran parte delle legislazioni statali ha adottato limitazioni più o meno rigorose.
A parte le limitazioni incluse nelle leggi dei vari stati americani, di particolare valore è il caso BMW of North America v.Gore (1996) che ha dato modo alla Corte Suprema di dettare dei criteri per limitare la esponenziale lievitazione dei punitive damages. Nel caso di specie, la Corte aveva reputato che i Punitive Damages di 500 volte maggiori dei danni effettivi aggiudicati a favore di parte attrice fossero eccessivi. Si trattava di un caso in cui l’acquirente di una BMW aveva acquistato una macchina dal distributore della BMW negli Stati Uniti e questo non gli aveva dichiarato di avere fatto ridipingere la macchina venduta. La Corte aveva rilevato che mentre il danno effettivo era stato di $4,000, Mr. Gore aveva chiesto $2,000,000.
La Corte aveva tra l’altro ritenuto che la condanna violasse la clausola “Due process” del 14° Emendamento della Costituzione Americana che si riferisce ai basilari principi di libertà e giustizia a protezione dei cittadini americani, e aveva individuato 3 elementi per stabilire se nell’ipotesi di punitive damages vi sia o meno violazione della Due Process clause:
- il grado di reprensibilità della condotta;
- la disparità fra i danni effettivamente riportati e i danni punitivi;
- la differenza tra il caso in questione ed altri simili.
La Corte Suprema americana si è poi spinta oltre, con la decisione in merito al caso “State farm mut. Automobile ins. Co.v. Inez Preece Campbell” (2003) ha individuato un ulteriore criterio quantitativo più stringente, stabilendo che i danni punitivi non debbano avere ammontare superiore a 10 volte il danno concretamente subito.
Nonostante queste sentenze abbiano tracciato una direzione, oggi il dibattito è ancora vivo e la tematica dei danni punitivi è più che mai attuale e ramificata.
Per quanto riguarda invece gli ordinamenti di civil law, i punitive damages non trovano effettivo riconoscimento vista la funzione meramente riparatrice del risarcimento del danno e in generale della responsabilità civile.
Danni punitivi in Germania
Se prendiamo in considerazione l’esperienza tedesca, è possibile anticipare che nonostante l’apertura dell’ordinamento alla delibazione delle sentenze straniere, le vicende che si sono susseguite alle prime manifestazioni dell’istituto dei danni punitivi ricalcano il travagliato iter dell’ordinamento italiano.
Nello specifico, il vasto riconoscimento di exequatur è previsto, nel Codice di procedura civile (ZPO), al §328.Nonostante questa apertura vi sono degli elementi limitanti e tra questi emerge “il contrasto con l’ordine pubblico” al centro anche del parallelo dibattito italiano sulla delibazione di sentenze straniere irroganti danni punitivi.
Tale locuzione (ordine pubblico) è stata oggetto di moltissime e variegate soluzioni interpretative. Fino al 1992, i giudici tedeschi sono infatti giunti a conclusioni tra loro divergenti, optando talvolta per la completa delibazione delle sentenze straniere irroganti danni punitivi, altre per un riconoscimento solo di alcune parti del dispositivo, fino all’inamissibilità dell’exequatur.
In questo quadro frastagliato, la pronuncia di riferimento rimane quella del Bundesgerichtshof (omologo della nostra Corte di Cassazione) del 1992, che ha ritenuto i danni punitivi totalmente difformi dai principi portanti dell’ordinamento tedesco. Il Codice civile tedesco (BGB) riconosce infatti, come unica conseguenza alla commissione di un fatto illecito, l’obbligo di risarcimento inteso quale compensazione del danno cagionato.
Tutto questo considerando anche il fatto che la realtà tedesca, a differenza degli ordinamenti di common law, prevede che le norme civili e quelle penali assolvono funzioni distinte, riservando solo ed esclusivamente a quelle penali le funzioni punitiva e deterrente tipiche dei punitive damages.
Nonostante una timida apertura della Corte costituzionale tedesca, ad oggi l’istituto dei danni punitivi è ben lungi dall’essere accolto ed applicato in Germania, in cui le barriere costituite dall’ordine pubblico e dalla funzione meramente compensativa del risarcimento del danno risultano un ostacolo difficilmente superabile.
Danni punitivi in Francia
In Francia, domina il principio della integrale riparazione, secondo il quale occorre avere riguardo unicamente al danno subito dal danneggiato. Tale principio non ha un referente normativo all’interno del Codice civile francese e pertanto il fondamento è di natura pretoria, ma la giurisprudenza della Cour de cassaction vi si attiene, censurando quelle pronunce in cui il calcolo sia avvenuto sulla base di criteri diversi. Tale principio preclude la possibilità che si riconoscano risarcimenti sanzionatori mediante i quali il danneggiato ottiene oltre al risarcimento compensativo una somma a titolo di sanzione, nonché risarcimenti restitutori, attraverso i quali il danneggiante deve restituire il profitto illecitamente realizzato.
Tuttavia, l’idea che la responsabilità civile possa svolgere una funzione sanzionatoria ulteriore rispetto a quella tipicamente riparatoria è al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale francese.
Ufficialmente, non esiste traccia alcuna dei punitive damages nell’ordinamento francese, parte della dottrina evidenzia però come si possa rilevare una presenza “nascosta” del fenomeno, sia all’interno di fattispecie legislative dalla forte impronta punitiva, sia nelle stesse deliberazioni delle Corti di merito, spesso propense a liquidare danni che appaiono eccedere il principio di integrale riparazione del danno.
Vi sono infatti alcune disposizioni legislative che possono nascondere una finalità punitiva e tra queste spiccano le astreintes anche se non possono essere considerate vere e proprie ipotesi di punitive damages, ma anche alcune disposizioni in materia di proprietà intellettuale, in particolare gli artt.331-1-3 e 331-1-4 inseriti a seguito della Direttiva Enforcement del 2004 che trovano un corrispettivo italiano nell’art.125 del Codice della proprietà industriale. In entrambe le disposizioni si prende quindi in considerazione l’utile guadagnato dall’autore della violazione: nel primo caso per quantificare il risarcimento dovuto alla parte lesa, nel secondo caso per spogliare l’autore della contraffazione di ogni guadagno e attribuire una simile somma a vantaggio del danneggiato.
Tutto ciò̀ rende il dibattito sull’ammissibilità̀ dei danni punitivi nell’ordinamento francese ancora attuale. Anche se la Cour de Cassation con una pronuncia nel 2010 ha dichiarato inammissibile una domanda di delibazione di una sentenza americana irrogante danni punitivi. Le ragioni poste a fondamento della decisione sono state da un lato, l’eccessiva entità del risarcimento riconosciuto ritenuto dalla corte sproporzionato e dall’altro il generale principio per cui l’ unica funzione del risarcimento è quella di rimettere il soggetto danneggiato nella stessa posizione in cui si sarebbe trovato se l’illecito non fosse stato commesso, o il contratto fosse stato adempiuto.
Dunque, come è accaduto in Germania, anche la corte francese ravvisa una violazione dell’ordine pubblico che costituisce il leitmotiv sempre presente quanto si tratta di decidere sull’applicazione dell’istituto dei danni punitivi nei Paesi di civil law, compresa l’Italia.
Danni punitivi in Italia
Infatti, per quanto concerne il nostro ordinamento, prima di procedere all’analisi delle più importanti decisioni della Corte di Cassazione che hanno ad oggetto il tema delicato dei danni punitivi, occorre soffermarsi sulla funzione che nel nostro ordinamento riveste la responsabilità civile perché questo è il più saldo pilastro che sorregge la barriera interposta tra il nostro ordinamento e il riconoscimento di sentenze provenienti dai paesi anglosassoni irroganti punitive damages con le quali i nostri giudici si sono confrontati.
Tradizionalmente la responsabilità civile ha come funzione primaria quella di reazione a un fatto lesivo di un interesse meritevole di tutela. Essa, dunque, funge da strumento per reintegrare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione e per ripristinare lo status quo per mezzo del pagamento di una somma di denaro che tende a eliminare le conseguenze del danno arrecato. Ragion per cui la liquidazione del risarcimento compensativo-riparatorio deve essere proporzionata al danno effettivo patito dalla vittima.
Norma cardine è l’articolo 2043 c.c. che scolpisce il principio generale “neminem ledere”, che offre una protezione atipica di tutti gli interessi giuridicamente rilevanti previsti dall’ordinamento.
La responsabilità civile si basa sul principio di integrale riparazione, secondo il quale al danneggiato deve essere riconosciuto un risarcimento che deve corrispondere a tutto il danno, desumibile dagli articoli art.1223 e 1226 c.c.
Se il danno è provocato nel suo preciso ammontare va liquidato in tale ammontare e non è ammessa una liquidazione equitativa. Mentre l’articolo 1227 c.c. stabilisce che se il danneggiato ha colposamente concorso a cagionare il danno, l’entità del risarcimento è diminuita secondo il grado della colpa.
Il danno può essere patrimoniale o non patrimoniale. Il danno patrimoniale consiste nel pregiudizio che colpisce la sfera economico-patrimoniale del danneggiato provocando un impoverimento, che può derivare da una responsabilità contrattuale o extracontrattuale.
Esso è composto da due elementi:
- il danno emergente: consiste nella perdita economica che il creditore ha subito per colpa della mancata, inesatta o ritarda prestazione del debitore.
- il lucro cessante: ossia il mancato guadagno che si sarebbe prodotto se l’inadempimento non fosse stato posto in essere. Dunque, una ricchezza non ancora inglobata nel patrimonio del danneggiato, ma che si sarebbe ragionevolmente prodotta.
Il risarcimento dovuto dal danneggiato dovrà ricomprendere sia il danno emergente che il lucro cessante in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell’atto illecito (art.1223 c.c.).
L’art. 2056 c.c. che si occupa della valutazione dei danni sancisce che il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 c.c. ma non richiama l’art. 1224 c.c. che si riferisce alla mora nelle obbligazioni pecuniarie, ma soprattutto non fa menzione dell’art.1225 c.c. relativo alla prevedibilità del danno. Questo vuol dire che il danneggiante dovrà risarcire non solo i danni che si potevano prevedere al momento della condotta, ma anche a quelli che non si potevano prevedere e che si sono comunque prodotti.
Per quanto attiene il danno contrattuale, il principio del danno effettivo comporta che dal risarcimento parametrato all’interesse positivo (cioè danno da mancata esecuzione del contratto) va detratto l’importo corrispondente all’interesse negativo, ossia i costi che la parte delusa avrebbe affrontato in caso di esatto adempimento. Si è però suggerito di tenere conto dell’interesse negativo nei casi in cui vi siano difficoltà di prova e di stima del danno ove commisurato all’interesse positivo.
La responsabilità civile non si distingue solamente in contrattuale o extracontrattuale ma anche precontrattuale che attiene al mancato rispetto degli obblighi a carico nelle parti nel processo di formazione del contratto. Gli eventuali comportamenti dolosi o colposi delle parti sono sanzionabili con il risarcimento del danno.
La fase preliminare della stipulazione del contratto attiene alle trattative tese al raggiungimento o meno dell’accordo. Il legislatore ha voluto tutelare questa fase prevedendo specifiche disposizioni di cui all’art.1337 e 1338 c.c. Essi stabiliscono gli obblighi di buona fede e comunicazione a carico delle parti nel processo di formazione del contratto, sanzionando eventuali comportamenti lesivi di tali obblighi.
Per quanto attiene il danno risarcibile, esso consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce:
1) per avere inutilmente confidato nella conclusione del contratto;
2) per avere stipulato un contratto che, senza l’altrui illecita ingerenza, non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse.
In particolare, nei casi di rottura ingiustificata delle trattative o di stipulazione di contratto invalido o inefficace, il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente nelle spese inutilmente affrontate (costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative e per la stipulazione del contratto) oltre che della perdita di altre e più favorevoli alternative contrattuali.
La delimitazione dei danni risarcibili nella responsabilità precontrattuale è dibattuta. Secondo la giurisprudenza prevalente i danni sarebbero limitati al c.d. “interesse negativo” cioè le spese a vuoto sostenute e il tempo e le occasioni perdute ma non il profitto che avrebbe potuto ottenere. In altre parole, si risarciscono i danni subiti per essere entrati in trattativa con la parte inaffidabile.
Dunque, come detto precedentemente, tradizionalmente la responsabilità civile nell’ordinamento italiano ha funzione risarcitoria e non punitiva.
Chiarissima sul punto è la sentenza n.1781/2012 che ha espresso il principio per cui:” non sono risarcibili i danni punitivi, in quanto la loro funzione sanzionatoria contrasta con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che assegna alla responsabilità civile una funzione ripristinatoria della sfera patrimoniale del soggetto leso”.
Pertanto, non c’è riconoscimento dei danni punitivi in Italia e numerosi sono i provvedimenti giurisdizionali che negano la trascrivibilità in Italia delle sentenze estere che li prevedono.
Fondamentale in questo senso è stata la sentenza n. 1183/2007 che nella specie riguardava l’istanza di delibazione di una sentenza statunitense che aveva condannato il produttore di un casco protettivo utilizzato dalla vittima di un incidente stradale. La sentenza aveva accertato il difetto di progettazione e costruzione della fibbia di chiusura del casco e aveva liquidato i danni secondo criteri che il giudice della delibazione aveva ritenuto propri dell’istituto dei danni punitivi e come tali incompatibili con l’ordine pubblico interno.
La Corte, in tale sentenza, ha chiarito come i danni punitivi siano incompatibili con l’ordine pubblico interno, il quale costituisce il parametro fondamentale per l’exequatur delle sentenze straniere ai sensi dell’articolo 64 comma 1 lettera g) della legge 218/1995.Attraverso questo parametro, inteso dalla Corte in senso restrittivo ossia come limite all’ordinamento giuridico interno e composto dai principi inderogabili che costituiscono l’identità nazionale della società, essa aveva riconosciuto alla responsabilità civile una monofunzionalità meramente riparatoria e restitutoria. Al sistema della responsabilità civile è assegnato il compito di “restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato”; dunque, la funzione punitiva e di deterrenza (tipica della sanzione penale e non civile) è estranea al sistema italiano della responsabilità civile.
È importante però notare come recentemente le Sezioni Unite abbiano manifestato una certa apertura verso la trascrizione delle sentenze estere recanti danni punitivi, mettendo in luce la necessità di superare il carattere monofunzionale della responsabilità civile costituito unicamente dalla finalità reintegratoria del risarcimento.
Fondamentale in questo senso è stata la sentenzan.16601 del 5 luglio del 2017 con cui le SU hanno ripercorsol’orientamento giurisprudenziale in materia e successivamente si sono concentrate sul concetto di ordine pubblico, valutato tra la prospettiva interna e internazionale.
Nella motivazione della sentenza, le Sezioni Unite danno conto di un’evoluzione, nella giurisprudenza di legittimità, dell’istituto della responsabilità civile all’interno del nostro ordinamento, in un’ottica non solo di una funzione riparatoria-compensativa della sfera patrimoniale del soggetto leso, ma anche di una possibile funzione di deterrenza e sanzionatoria riconoscendo una polifunzionalità della responsabilità civile.
Nonostante le SU riconoscano una tendenza anche deterrente e sanzionatoria della responsabilità civile, precisano come questo non consenta ai giudici italiani, che si pronunciano in materia di danno extracontrattuale, di imprimere “soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati”.
La Cassazione ridefinisce la nozione di “ordine pubblico” che, da complesso di principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale, si è evoluto a complesso di principi contaminati anche dal diritto europeo e ha affermato come i danni punitivi non siano ontologicamente incompatibili con esso.
I giudici di legittimità hanno dunque riconosciuto una maggiore permeabilità nei confronti della legge straniera del diritto internazionale e soprattutto comunitario, alla ricerca di punto di equilibrio tra il tradizionale controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere che potrebbero minare la coerenza dell’ordinamento giuridico e la promozione dei valori tutelati dal diritto internazionale.
Le Sezioni Unite hanno poi stabilito i requisiti che devono avere le sentenze straniere che contengono una condanna di tal genere, sottolineando come esse debbano essere state rese nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità, la riconoscibilità e la prevedibilità. Ne deriva che “(…) dovrà esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicità) e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilità)”.
Una considerazione importante da fare è che non sarebbe corretto affermare che tale sentenza abbia comportato uno sdoganamento dei danni punitivi, pur nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale.
Le SU hanno semplicemente sancito la possibilità di delibare sentenze straniere di condanna al risarcimento dei danni punitivi purché queste non siano contrarie all’ordine pubblico e sussista un riferimento normativo interno che permetta di condannare al risarcimento di un danno che ha valenza punitiva e deterrente.
Infatti, anche i giudici hanno sottolineato come, in ossequio al principio di riserva di legge stabilito dall’ art.23 Cost. (correlato agli artt.24 e 25), ogni prestazione personale o patrimoniale esige un fondamento legislativo. Dunque, nel sistema italiano la condanna al pagamento di una somma ulteriore a quella risarcitoria è configurabile solo e soltanto se vi è una norma ad hoc che, nella fattispecie, lo preveda.
Nel nostro ordinamento vi sono ipotesi legislative recenti e non che contemplano una sanzione ulteriore di carattere sanzionatorio/punitivo.
Tra queste ipotesi vengono in rilievo, per quanto concerne l’aspetto processuale l’articolo 96 c.p.c. (la responsabilità aggravata per lite temeraria) che fa riferimento al comportamento processuale tenuto da una parte che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, consapevole dell’infondatezza della domanda o della tesi difensiva oppure che non abbia usato l’ordinaria diligenza nell’acquisire tale consapevolezza.
Il comma 3 prevede che quando il giudice si pronuncia sulle spese ai sensi dell’art.91 cpc può d’ufficio condannare la parte soccombente oltre che al risarcimento del danno anche al pagamento di una somma equitativamente determinata.
L’intento di questa norma è quello di scoraggiare l’abuso del processo, attraverso un ampliamento del potere del giudice che potrà così infliggere una sanzione pecuniaria la cui applicazione e il cui ammontare saranno di volta in volta valutati in relazione alle peculiarità del caso concreto. Questo intento è stato rafforzato dalla Riforma Cartabia che ha introdotto il nuovo comma 4 che prevede altresì la condanna al pagamento di un ulteriore somma di denaro non inferiore a 500 euro e non superiore 5000 euro.
È chiaro, dunque, che la portata di questa norma esula dalla mera funzione compensatoria di un danno cagionato. La Corte costituzionale nel 2016, hanno riconosciuto il carattere sanzionatorio della fattispecie ma hanno sempre detto che il comma 3 ha una duplice anima sanzionatoria e compensativa e non si sa bene dove finisca l’una e dove inizi l’altra.
Altri esempi di fattispecie che possono essere considerate affini all’istituto dei punitive damages ma che danni punitivi non vengono mai definiti, si ritrovano fuori dal codice di rito: l’articolo 12 della legge sulla stampa riconosce la possibilità per il soggetto che sia diffamato con il mezzo della stampa, di ottenere il riconoscimento di una somma che è ulteriore rispetto a quella di natura riparatoria calcolata in considerazione della “gravità dell’offesa” e la “diffusione dello stampato” volta a scoraggiare la reiterazione del comportamento sanzionato da parte del diffamatore.
Giova ricordare come i punitive damages siano stati per la prima volta riconosciuti in Inghilterra proprio in un caso di diffamazione, dunque l’analogia risulta evidente. Ma sulla funzione risarcitoria, ovvero sanzionatoria della norma non vi è unanimità̀ di vedute né in dottrina, né in giurisprudenza, ove peraltro non mancano recenti ed espliciti riconoscimenti di una natura punitiva dell’istituto in esame.
Infine, occorre soffermarsi sugli articoli 125 c.p.i e 158 l.d.a contenenti la disciplina del risarcimento del danno rispettivamente da violazione di diritto di proprietà industriale/intellettuale.
L’articolo 125 c.p. i. stabilisce che il risarcimento del danno è liquidato secondo le disposizioni generali contenute negli artt.1223, 1226 e 1227 c.c. nei limiti del danno emergente e del lucro cessante. Il comma 3 della disposizione invece prevede anche che il soggetto danneggiato possa chiedere, in alternativa al lucro cessante o alla parte eccedente di questo, la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione. Così similmente dispone anche l’articolo 158 l.d.a.
L’interrogativo che è sorto al riguardo è stato se stabilendo la retroversione degli utili a favore del danneggiato il legislatore abbia voluto attribuire a questa particolare forma di risarcimento una funzione punitiva e deterrente assimilabile a quella delle punitive damages.
In realtà, a ben vedere i due articoli in esame non fanno riferimento all’art. 1225 c.c., tra le disposizioni in base al quale il risarcimento deve essere liquidato, che dispone la limitazione del risarcimento al danno prevedibile.
Pertanto, la retroversione degli utili non sarebbe volta a punire il contraffattore e avere funzione di deterrenza rispetto a condotte di questo tipo, ma si tratterebbe semplicemente del risarcimento del lucro cessante ossia i profitti che il danneggiato avrebbe conseguito se il contraffattore non avesse agito illecitamente. La stessa Corte di Cassazione ha sostenuto non ultimo nel 2011 (pronuncia n.8730) che entrambe le disposizioni non abbiano venatura punitiva ma solo sanzionatoria, volta a impedire che l’autore della violazione possa arricchirsi dal compimento di atti illeciti.
In conclusione, sebbene nel nostro ordinamento esistano degli istituti che possono fungere da appiglio per cercare di mettere in discussione la funzione solamente risarcitoria della responsabilità, accostare le suddette fattispecie ai punitive damages sarebbe errato. La stessa giurisprudenza ha sempre difeso la funzione risarcitoria della responsabilità civile anche se, a partire dalla pronuncia del 2017, le SU hanno riconosciuto la compatibilità dell’istituto dei danni punitivi con l’ordine pubblico interno e hanno aperto le porte a una possibile polifunzionalità della responsabilità civile.
A questo punto ci si trova di fronte a un bivio: continuare a procedere sulla strada conosciuta ossia limitarsi a ritenere ammissibile la sola delibazione delle sentenze straniere, oppure applicare l’istituto dei danni punitivi anche nel nostro ordinamento ma non c’è dubbio che in materia una norma vigente in tal senso non esiste ancora.
Allo stato attuale, con l’apertura della nostra Corte alla delibazione di provvedimenti stranieri irroganti danni punitivi, anche una sentenza come quella americana relativa al caso BMW che, ha condannato la casa automobilista al risarcimento di danni punitivi 500 volte superiori rispetto al danno effettivamente subito dal danneggiato, può trovare riconoscimento. Ma è importante sottolineare che, nonostante l’exequatur sia ammissibile, una sentenza del genere nel nostro ordinamento non avrebbe potuto mai essere pronunciata.
Giorgia Zornetta