Il legislatore ha previsto una dettagliata disciplina volta a regolare l’installazione e l’utilizzo dei mezzi di videosorveglianza sui luoghi di lavoro. Il presente articolo si occupa di presentarne le procedure che il datore di lavoro è tenuto a rispettare prima di installare un sistema di videosorveglianza, i limiti previsti e le eventuali sanzioni.
L’installazione delle telecamere nei luoghi di lavoro si propone lo scopo di proteggere il patrimonio aziendale nonchè la sicurezza dei soggetti che ivi operano, al fine di evitare eventi quali furti ed accessi indesiderati.
Tuttavia, dietro a tali “nobili” scopi, sovente accade che i datori di lavoro “approfittino” di tali strumenti per controllare a distanza i dipendenti e, conseguentemente, anche il concreto svolgimento delle loro prestazioni lavorative.
Proprio per tale ragione, per poter installare strumenti o apparecchiature di videosorveglianza nei luoghi di lavoro è necessario, da un lato, darne preventiva comunicazione ai lavoratori, e, dall’altro, affiggere in tutti i locali aziendali in cui si svolgono le loro prestazioni un cartello che evidenzia che la zona è videosorvegliata.
Si specifica che, ai fini della collocazione di un impianto di sorveglianza nei locali dell’impresa, nonché nei luoghi esterni dove venga svolta attività lavorativa anche in modo saltuario o occasionale, è necessario altresì un accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.
Non è sufficiente, quindi il consenso unanime dei lavoratori impiegati nell’unità produttiva, che non può sostituire le predette prescrizioni imposte, in via generale, dalla legge.
Quanto alle finalità sottese all’installazione di un impianto di videosorveglianza aziendale, lo stesso deve considerarsi legittimo qualora soddisfi le condizioni poste dall’art. 4 della l. n. 300/1970, cd. Statuto dei lavoratori, così come modificato dall’art. 23 del D. Lgs. n. 151/2015, secondo cui “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.
Una recente pronuncia del Tribunale di Roma[1] è intervenuta sulla portata da attribuire alla novella legislativa, rilevando che “in buona sostanza, il legislatore sembra ormai aver superato la discutibile ed estremistica logica per cui il lavoratore non può essere controllato a distanza salvo che non si dimostri che ci si è dovuti difendere perché è un delinquente, affermando l’opposto principio, che realizza normativamente il contemperamento tra interesse al controllo e protezione della dignità e riservatezza dei lavoratori sottraendola alle oscillazioni della giurisprudenza in materia, per cui il lavoratore può ben essere controllato con mezzi a distanza, ma alle seguenti cumulative condizioni: a) l’impianto deve essere stato previamente autorizzato con accordo sindacale o dall’ INL, b) l’impianto deve avere una o più delle finalità (diverse da quelle di controllare i lavoratori) previste dal primo comma dell’art.4, c) il datore deve aver previamente informato il lavoratore che l’impianto è stato installato, e che vi si potranno esperire controlli, d) il controllo deve essere esperito in conformità al Codice della privacy, il che comporta essenzialmente che esso va fatto secondo i princìpi di trasparenza, scopo legittimo e determinato, non invasività, ricavabili dall’art. 11 del D.Lgs. 196/2003 e s.m.”.
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Ciò posto, il datore di lavoro che provveda all’installazione di un impianto di videosorveglianza aziendale senza rispettare le prescrizioni di legge può incorrere in gravi sanzioni.
Si premette che il Ministero del Lavoro, con la nota n. 11241/2016 del 1° giugno 2016, ha chiarito come la violazione della disciplina legale posta in tema di videosorveglianza nei luoghi di lavoro possa ritenersi integrata anche dalla mera installazione delle apparecchiature, in mancanza della loro successiva messa in funzione[2].
Secondo il Ministero, infatti, “l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, necessaria affinché il reato sussista” “è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo[3], la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno”.
Ciò premesso, lo Statuto dei Lavoratori prevede a carico di coloro che installino o impieghino illegittimamente impianti di videosorveglianza o di controllo a distanza dei lavoratori, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, un’ammenda compresa tra euro 154 euro ed euro 1.549 o l’arresto da 15 giorni a 1 anno. Nei casi più gravi[4] le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente[5].
Nell’ipotesi di installazione di un impianto di videosorveglianza in violazione di norme di legge, il personale ispettivo (nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria), successivamente all’accesso nei luoghi di lavoro, può impartire la cd. prescrizione obbligatoria, ovvero l’ordine di rimozione degli apparecchi non autorizzati, con il contestale avvio dell’iter funzionale ad addivenire ad un accordo con le rappresentanze sindacali o ad ottenere la sopraindicata autorizzazione.
Effettuati tali adempimenti, l’ispettore potrà ammettere il contravventore a pagare nel termine di 30 giorni, in sede amministrativa, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilità per la contravvenzione commessa.
Tuttavia, le violazioni caratterizzate da maggiore gravità non consentono, l’applicazione dell’istituto della “prescrizione obbligatoria”, determinando, invece, la comunicazione della notizia reato al Procuratore della Repubblica territorialmente competente.
Alcune ipotesi possono essere individuate nella:
(i) installazione di telecamere “fisse” che inquadrino soltanto l’attività svolta dai lavoratori, nonchè i luoghi adibiti esclusivamente alla consumazione del pasto o al godimento della pausa;
(ii) assenza di esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale che rendano necessaria l’installazione degli impianti di videosorveglianza;
(iii) installazione degli impianti a totale insaputa dei lavoratori;
(iv) installazione di sistemi di controllo che, considerata la relativa collocazione ovvero la specifica funzionalità, siano in grado di raccogliere in via prevalente i dati c.d. “sensibili” dei lavoratori;
(v) determinazione di un effetto dannoso a danno del lavoratore, quale l’utilizzazione, a qualunque fine, delle immagini riprese dai sistemi audio-visivi installati dal contravventore;
(vi) specifica recidiva della violazione degli obblighi previsti in materia di videosorveglianza, circostanza considerata indice di una maggiore pericolosità sociale del reo.
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Tanto premesso, si sottolinea che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo si è pronunciata favorevolmente riguardo alla possibilità del datore di lavoro di installare delle telecamere nascoste, senza informare i dipendenti, qualora abbia il fondato sospetto che essi si rendano responsabili di ripetuti furti, e le perdite subite determinino un danno di ingente entità.
Nel caso specifico, un supermercato spagnolo aveva rilevato, nell’arco di circa sei mesi, una rilevante sottrazione di merce per il controvalore monetario di circa euro 80.000,00.
Il manager del punto vendita faceva quindi installare alcune telecamere, ben visibili e direzionate verso gli ingressi, nonché ulteriori telecamere nascoste, senza darne notizia al personale, su aree limitate, direzionate verso le casse e verso i vari reparti, che sono state attivate per il circoscritto arco temporale di dieci giorni.
Le telecamere riprendevano alcuni addetti del supermercato intenti a sottrarre alcune merci, i quali venivano, conseguentemente, licenziati.
La giustizia spagnola statuiva la liceità di tali licenziamenti, che venivano successivamente impugnati innanzi alla predetta Corte comunitaria.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo confermava la pronuncia del giudice nazionale, statuendo che l’informativa al personale circa l’installazione di un impianto di videosorveglianza può essere omessa in presenza del ragionevole sospetto di una condotta dei lavoratori che crei un rilevante danno per l’azienda, stante anche il proporzionato intervallo di tempo in cui era stato effettuato il monitoraggio “occulto” da parte del datore di lavoro (dieci giorni).
Tali conclusioni sono state successivamente avvallate dal Garante della Privacy nazionale, secondo cui la videosorveglianza occulta è ammessa soltanto quale extrema ratio, a fronte di gravi illeciti e, soprattutto, con modalità spazio-temporali tali da limitarne al massimo l’incidenza.
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Tutto ciò premesso, si ritiene di aver evidenziato le numerose criticità sottese all’installazione degli impianti di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, che richiedono lo scrupoloso rispetto dell’iter procedurale previsto dalla legge.
Si evidenzia al riguardo non soltanto come non sia sufficiente il mero consenso dei lavoratori, ma che la necessità del datore di lavoro di proteggere l’integrità del patrimonio aziendale dev’essere bilanciata con il rispetto di alcune garanzie minime a tutela dei diritti dei lavoratori.
Conseguentemente, si ritiene consigliabile che gli imprenditori, prima di installare un impianto di videosorveglianza nella propria azienda, si avvalgano dell’assistenza e della consulenza di un legale esperto in materia di privacy e tutela dei dati personali, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge.
[1] Cfr. Trib. Roma, sez. III lavoro, ordinanza 13 giugno 2018, n. 57668.
[2] Cfr. Cass. Pen. n. 4331/2014.
[3] Nei reati di pericolo, la condotta penalmente rilevante deve individuarsi nella mera “minaccia” del bene giuridico tutelato dall’ordinamento (es. il reato di incendio).
[4] Si evidenzia come rientri nella discrezionalità dell’ispettore, quale primo osservatore della fattispecie concreta, il potere-dovere di individuare i casi di maggiore gravità e, quindi, di applicare o meno l’istituto della prescrizione.
[5] Inoltre, qualora per le condizioni economiche del reo, possa presumersi inefficace l’ammenda stabilita in via generale, anche se applicata nel massimo, il Giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.