- Premessa
L’impatto della diffusione del cd. Corona Virus sta incidendo, ai fini che qui interessano, anche sulle attività economiche.
I provvedimenti assunti per favorire il contenimento dell’epidemia hanno infatti determinato la chiusura degli esercizi commerciali diversi da quelli che forniscono servizi o prodotti ritenuti essenziali[1], verificandosi, pertanto, di fatto, una situazione eccezionale che non conosce precedenti nel nostro ordinamento e nel mondo intero.
Molti imprenditori si trovano nell’impossibilità – o, quantomeno, in grave difficoltà – nell’esercitare la propria attività d’impresa e, conseguentemente, anche a rispettare gli impegni contrattualmente assunti prima del proliferare dell’epidemia.
Ciò premesso, come noto, si rammenta che la responsabilità per inadempimento è disciplinata sensi dell’art. 1218 c.c.: in particolare, il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno qualora non provi che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivanti da causa a lui non imputabile.
Sul punto, si rileva che il cd. Decreto Cura Italia, e, in particolare, il primo comma dell’art. 91, dispone che “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Tanto considerato, al fine di addivenire al contenimento delle conseguenze negative derivanti dagli inadempimenti, anche parziali riconducibili alle misure d’urgenza recentemente previste, è fondamentale che gli imprenditori prestino particolare attenzione, tanto nei contratti già conclusi che in quelli in corso di negoziazione, alle clausole contrattuali disciplinanti (i) l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, (ii) l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e, infine, (iii) agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede cui sono sempre tenute le parti di un contratto.
2. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Ai sensi del primo comma dell’art. 1256 c.c., l’obbligazione si estingue quando la prestazione diventa impossibile per una causa non imputabile al debitore.
Inoltre, il primo comma dell’art. 1463 c.c. prevede che, nei contratti a prestazioni corrispettive[2], la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione non può chiedere la controprestazione, dovendo in ogni caso restituire ciò che ha già ricevuto.
Può dirsi che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifichi anche qualora sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione stessa da parte del creditore: ciò a condizione che tale impossibilità sia comunque non imputabile al medesimo e che il suo interesse a ricevere la prestazione sia venuto meno, verificandosi, quindi, la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con conseguente estinzione dell’obbligazione[3].
Per giurisprudenza consolidata, il contratto a prestazioni corrispettive si risolve di diritto qualora l’impossibilità di esecuzione della prestazione da parte del debitore sia (i) definitiva, assoluta e oggettiva, (ii) sopravvenuta, ma sorta prima della mora, (iii) non imputabile al debitore né dallo stesso evitabile.
La ratio della norma deve individuarsi nella considerazione del fatto che, in tutte le ipotesi in cui una delle prestazioni sia divenuta definitivamente impossibile per causa non imputabile ad un contraente, si verificherebbe una grave violazione del sinallagma contrattuale qualora l’altro fosse in ogni caso tenuto ad eseguire la propria prestazione.
Proprio per tale ragione, la legge prevede la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta di una delle due prestazioni, con la conseguenza che il contraente liberato dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione non potrà chiedere all’altro la propria controprestazione, né tenere ciò che abbia eventualmente già conseguito.
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Inoltre, ai sensi del secondo comma dell’art. 1256 c.c., se l’impossibilità è solo temporanea – e, cioè, derivi da una causa presumibilmente transitoria – finché perdura, il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
Il nesso che lega la prestazione temporaneamente impossibile alla controprestazione, invece, possibile, implica che quest’ultima, nel medesimo periodo di tempo, non sia dovuta.
Una volta cessata la causa ostativa, il debitore deve eseguire la propria prestazione, fatto salvo, in ogni caso, il diritto di entrambe le parti ad un intervallo di tempo ragionevole per prepararsi ad effettuare ed a ricevere la prestazione.
Tuttavia, l’obbligazione si estingue definitivamente per impossibilità sopravvenuta se il perdurare dell’impossibilità priva il creditore dell’interesse al conseguimento della prestazione o se il debitore, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, non possa più essere ritenuto obbligato ad eseguirla.
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Infine, ai sensi dell’art. 1258 c.c., se la prestazione diviene impossibile solo in parte, il debitore si libera dell’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
L’art. 1464 c.c., invece, dispone che qualora la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, potendo inoltre recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, da valutarsi sulla base di parametri oggettivi.
La sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione è causa di risoluzione del contratto quando, avuto riguardo all’interesse delle parti, investa l’essenza stessa dell’operazione negoziale, privando il resto, in parte significativa, di utilità, o, in ogni caso, mutando significativamente lo scopo perseguito con il negozio[4].
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Tra le cause invocabili ai fini della richiamata impossibilità della prestazione rientrano, per quanto qui di interesse, gli ordini e i divieti dettati da interessi generali ed imposti da un atto della pubblica autorità (cd. factum principis) – tra i quali sembrano potersi far rientrare a pieno titolo le disposizioni recentemente emanate per fronteggiare la pandemia in atto – che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento del soggetto obbligato.
Può dirsi tuttavia che, qualora il factum principis sia ragionevolmente e facilmente prevedibile nel momento in cui viene assunta l’obbligazione[5], secondo la normale diligenza, non può essere invocata dal debitore, a suo vantaggio, l’impossibilità della prestazione[6].
3. L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.
Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti a prestazioni corrispettive a esecuzione continuata o periodica[7], ovvero a esecuzione differita[8], qualora una delle prestazioni sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, a meno che la sopravvenuta onerosità rientri nella normale alea negoziale[9]; la parte contro la quale è chiesta la risoluzione in giudizio, invece, può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
L’imprevedibilità dell’evento fa riferimento ad una dimensione soggettiva secondo la comune esperienza e la fenomenologia della conoscenza, mentre il carattere della straordinarietà ha natura oggettiva, attenendo, invece, alla verificazione dell’evento medesimo sul piano statistico.
L’eccessiva onerosità può essere individuata in un anormale ed imprevedibile squilibrio sopravvenuto tra il valore economico delle prestazioni, con la conseguenza che il rapporto tra le prestazioni nel momento dell’esecuzione del contratto risulta sproporzionato rispetto a quello che era il rapporto al momento della conclusione del medesimo: la risoluzione, quindi, è un rimedio straordinario, concesso dall’ordinamento per ragioni di equità concreta.
Il diritto ad agire in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto, si evidenzia, non spetta alla parte che abbia già eseguito la propria prestazione, che è in mora o a quella che, con la sua inadempienza, abbia ritardato l’esecuzione del contratto.
4. Gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede.
La diligenza rappresenti il modello ideale di comportamento a cui il debitore deve uniformarsi nell’adempiere ciascuna obbligazione.
L’art. 1176 del Codice Civile distingue espressamente tra obbligazioni generiche e obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale: nel primo caso il parametro di riferimento è individuato nella cd. diligenza del buon padre di famiglia[10], nel secondo caso, invece, nella cd. diligenza qualificata[11].
In particolare, ai fini che qui interessano, la diligenza assume rilievo quale:
- criterio di valutazione dell’adempimento: l’adempimento, infatti, rappresenta l’esatta esecuzione della prestazione dovuta, e l’esecuzione non diligente di una prestazione, nelle obbligazioni di mezzi[12], equivale ad inadempimento;
- criterio di imputazione dell’inadempimento: la colpa, infatti, può essere individuata nell’inosservanza – o nella violazione dello standard – della diligenza richiesta per l’esecuzione della prestazione;
- criterio di imputazione dell’impossibilità della prestazione: la liberazione dell’obbligato inadempiente da ogni responsabilità, presuppone, infatti, che il debitore non rimanga inerte ma, nei limiti del proprio obbligo di diligenza, abbia tentato di vincere gli effetti della causa che rende impossibile la prestazione.
In secondo luogo, i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano tanto sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali che su quello del bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti.
Da un lato, infatti, essi impongono alle parti di adempiere obblighi che non siano espressamente stabiliti dal contratto o dalla legge, qualora sia necessario per preservare gli interessi della controparte; dall’altro, invece, consentono al Giudicante di intervenire, qualora necessario, sul contenuto del contratto, anche in senso modificativo o integrativo, e ciò al fine di garantire l’equo contemperamento deli interessi delle parti.
Il principio di correttezza e buona fede enuncia un dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione che esplica la sua rilevanza in ogni rapporto negoziale, imponendo a ciascuna parte il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere anche un danno risarcibile.
La salvaguardia dell’interesse della propria controparte contrattuale trova il suo limite nell’interesse proprio del soggetto, ovvero nella misura dell’apprezzabile sacrificio a proprio carico.
5. I contratti già conclusi e quelli in corso di negoziazione.
Tanto premesso in via generale, possono ora muoversi alcune considerazioni di carattere concreto sia con riferimento ai contratti già conclusi che relativamente ai contratti ad oggi in corso di negoziazione.
In particolare, ai fini di evitare possibili contenziosi aventi ad oggetto eventuali inadempienze contrattuali determinati dagli effetti della pandemia, gli imprenditori, con riferimento a ciascun negozio sottoscritto, dovranno:
- agire diligentemente secondo correttezza, ponendo in essere tutti gli sforza ragionevoli per adempiere il contratto;
- valutare la presenza di clausole disciplinanti l’impossibilità sopravvenuta o l’eccessiva onerosità sopravvenuta verificandone attentamente il contenuto e, conseguentemente, la loro applicabilità agli eventi ad oggi in corso;
- valutare l’eventuale responsabilità della controparte per inadempimento, anche alla luce delle clausole contrattuali che disciplinano il ritardo o eventuali penali;
- valutare l’opportunità di rinegoziare il contratto con la propria controparte negoziale, anche alla luce dell’interesse di quest’ultima alla permanenza del vincolo.
In secondo luogo, qualora attualmente pendano trattative funzionali ad addivenire alla sottoscrizione di nuovi contratti, sarà opportuno:
- determinare analiticamente gli obblighi specifici di ciascuna parte contrattuale, favorendo la reciproca informazione e l’adozione delle azioni necessarie ad evitare la risoluzione del contratto;
- definire specificamente le nozioni di impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta, anche mediante il riferimento, a titolo esemplificativo e non esaustivo, ad un elenco eventi;
- redigere clausole contrattuali che regolino in maniera chiara e specifica gli effetti degli eventi imprevedibili e la ripartizione dei relativi rischi a carico di ciascuna parte contrattuale;
- valutare l’opportunità di stipulare una polizza assicurativa, prestando particolare attenzione al fatto che tra i rischi “coperti” vi siano anche le epidemie.
In ogni caso, il testo delle clausole negoziali dovrebbe consentire di individuare con chiarezza non soltanto i rimedi contrattuali, ma anche le eventuali possibilità di risoluzione delle controversie insorte; dovrà inoltre porsi particolare attenzione alla legge che regola il contratto, poiché la disciplina degli ordinamenti esteri potrebbe non corrispondere a quella nazionale.
[1] Il riferimento è al D. P. C. M. 22 marzo 2020.
[2] I contratti a prestazioni corrispettive sono connotati da uno schema causale nel quale le attribuzioni patrimoniali rispettivamente a vantaggio e a carico di ciascuna delle parti sono legate da un nesso di reciprocità (o sinallagma) in modo che risultano tra loro strettamente interdipendenti: la funzione di scambio sottesa viene meno se una delle due prestazioni diviene successivamente impossibile. Sono contratti a prestazioni corrispettive, a titolo esemplificativo, la vendita, la locazione, l’appalto, la somministrazione, l’assicurazione, il trasporto.
[3] Cfr. Cass. Civ. n. 18047/2018.
[4] Cfr. Cass. Civ. n. 4939/2017.
[5] Circostanza che pone ulteriori problematiche riguardo ai contratti a esecuzione continuata, periodica e ad esecuzione differita.
[6] Al medesimo esito si deve giungere in tutte le ipotesi in cui il debitore non abbia utilizzato tutte le possibilità a disposizione per vincere o rimuovere la resistenza della pubblica amministrazione.
[7] Nei contratti a esecuzione continuata la prestazione di una parte ha continuità ininterrotta nel tempo, mentre nei contratti ad esecuzione periodica sorge l’obbligo di ripetere nel tempo la prestazione.
[8] In tale tipologia contrattuale l’esecuzione è rinviata ad un momento successivo a quello in cui il contratto si perfeziona.
[9] Non soggetti a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta i contratti aleatori, in cui il rischio assume ab origine un ruolo essenziale nell’equilibrio negoziale.
[10] Il riferimento è alla diligenza media, ovvero al modello del “cittadino avveduto”.
[11] In questo caso, invece, trattasi di diligenza speciale e rafforzata, a seconda del grado di specialità e di professionalità dell’attività esercitata.
[12] Viceversa, l’esatto adempimento nelle obbligazioni di risultato rappresenta l’esecuzione, appunto, del risultato promesso: la diligenza opera soltanto quale criterio di controllo e valutazione del comportamento del debitore